ADRIAN è un fallimento: ecco perché la gente lo detesta

Adriano Celentano non è mai stato un uomo semplice da amare: anticonformista, guerriero contro il consumismo sfrenato, portatore di valori quasi epici che negli anni addietro lo hanno classificato come una rock star per niente in linea con i colleghi, molto spesso più un tipo da monologo che da canzoni urlate negli stadi. Tuttavia anche il fan più sfrenato dell’icona musicale italiana non può esimersi dal giudicare Adrian, serie animata destinata a un pubblico adulto in onda su Canale 5 in prima serata, uno dei prodotti più pacchiani, peggio riusciti e meno interessanti collegati alla filosofia lavorativa del Molleggiato.

Nove anni di lavorazione, animatori da tutto il mondo, colonna sonora curata da un premio Oscar (e che premio Oscar, il nostrano Nicola Piovani, che vinse l’Award per le stupende e fiabesche musiche de “La vita è bella”) e disegni di Manara, una leggenda nel suo settore, Adrian è stato presentato come un prodotto destinato a  vincere e convincere, appassionare e rilanciare un settore, quello dell’animazione, nel nostro paese in discesa libera.

Quando però ci si siede in poltrona e si accavallano le gambe per gustarsi lo spettacolo, ciò che ne esce è il giudizio severo di uno spettatore ampiamente deluso, sconfortato, infastidito dal complesso e prestante ego dell’ Adriano Nazionale, che a 81 anni suonati fornisce al pubblico una trasfigurazione di sé stesso di circa trent’anni, pettorali che nemmeno Triple H dei tempi d’oro, mono espressività animata e una serie di cliché da far inorridire il peggiore degli sceneggiatori. In Adrian il protagonista è un orologiaio nemico del regime, che seppur ricercato dai “poteri forti” si permette il lusso di salire sul palco di un affollato concerto di Capodanno (che ci fosse l’alter ego truzzo di Sangiorgi dei Negramaro è un altro discorso…) e cantare una versione più rockettara di “I want to know”. 

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Tuttavia non è l’unica incongruenza: i dialoghi sono orribili, innaturali, spesso decontestualizzati, i personaggi piatti che sembrano volersi rifare ai film di spionaggio degli anni ’70, ma riescono nell’intento solo di apparire ridicoli quanto molti di loro. Per quanto i disegni dei character principali siano buoni (tranne il volto di Adrian in una delle scene stilizzate e infatti internet ha pensato bene di farlo diventare un meme…) gli sfondi in alcuni casi sembrano presi e improvvisati con la versione Paint installata in Windows. Ma non è il lato tecnico che viene biasimato nella serie animata, bensì quello narrativo: impressionante come la trama sia stereotipata, scopiazzata da opere ben più prestigiose e gettata lì in mezzo al marasma di persone adoranti del Molleggiato con solo una cosa originale: il volto di un uomo conosciuto e amato dai più, ma che dopo una carriera di successi e iconicità non aveva certo bisogno di mettersi a capo di un progetto del genere scritto male, portato in scena peggio e orchestrato – mi perdonerete – di merda. Morale a go go come se nessuno di noi sapesse di cosa stiano parlando e presunzione nell’elevarsi a paladino della giustizia: soliti temi – importanti per carità – di un certo peso portati avanti con un triciclo e nessuna novità.

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Se qualsiasi giovane sceneggiatore avesse proposto alla Mediaset un prodotto del genere con un volto diverso da quello di Celentano il copione sarebbe stata preso e masticato dalle fauci dei direttori dei piani alti, ma ovviamente non si può dire no a una star, anche se presenta un composto narrativo incollato con lo sputo, ricco di enormi baggianate (Mafia International, sul serio?) e altamente non originale. L’ennesima occasione persa per valorizzare l’animazione in Italia, paese in cui questa branca del cinema viene vista come una sorta di sotto categoria di serie B, qualcosa destinato agli infanti, a un pubblico intellettualmente inferiore, che non ha pensieri.

Adrian è insomma un prodotto scadente, di gran lunga non originale e con enormi problemi narrativi (e meno male che hanno chiamato pure quelli della Scuola Holden, complimenti agli studenti scelti)  creati perlopiù dallo smisurato ego del suo creatore/protagonista/showstealer e chi più ne ha più ne metta: qualcosa che verrà ripescato in futuro solo per far comprendere quanto in basso qualitativamente un artista possa cadere quando non comprende che non è il momento per giocare con un’arte che è stata fin troppo bistrattata da chi, di animazione, non ne sa nulla

3 libri super noiosi

Oggi parliamo di qualcosa di tutto sommato divertente, anche se qualcuno che leggerà questo articolo mi attaccherà com’è giusto che sia. Forse perché ho toccato uno dei libri sacri della storia della letteratura, forse perché verrò accusato di non capire nulla dell’arte dello storytelling. Comunque bisogna saper convivere con problemi del genere, ecco perché – volutamente – vi lancio una provocazione: tre libri random super noiosi che, secondo me, annoierebbero anche il più forbito e vecchiotto professore di Harvard.

Questa NON è una classifica, solo un elenco

TWILIGHT – Stephanie Meyer

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Ragazze all’ascolto: dovete perdonarmi. Ho provato e riprovato a convincermi che ci fosse qualcosa di inconsueto nel successo di Twilight, che ci fosse di più di una semplice love story adolescenziale in salsa fantastica con una spruzzata di dark side e uno shaking di mostri e vampiri, ma non è così. Se i film di Twilight sopravvivono alla censura del buongusto per un minimo di ritmo alto (solo in alcuni punti), i libri possiamo considerarli di una lentezza da far invidia ad un gran premio per sole tartarughe. I dubbi, le deprimenti allusioni della protagonista e la saccenza del protagonista trasformano una storia che dovrebbe essere un fantasy in una sorta di romance da due soldi. Con un ritmo lento, questo è da dire. Perché se è vero che se da un libro si guadagna bene la casa editrice è contenta, è anche vero che a volte la qualità non eguaglia il successo.

CENT’ANNI DI SOLITUDINE – Gabriel Garcia Marquez

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Premessa: questo libro è giudicato all’unanimità un capolavoro. E lo è, per una moltitudine di motivi diversi. Però, ve lo giuro, è come se il libro avesse preso vita e poi si fosse intinto in una salsa alla noia che ne ha pregiudicato la leggibilità. Marquez è un fenomeno della scrittura e ciò che dice non si discute, ma questo libro, pur essendo ricco di significato, è scritto in maniera tale da risultare pesante anche dopo poche pagine. Un clima di questo genere è appropriato per i temi affrontati e invalidante per i lettori

MADAME BOVARY – Gustave Flaubert

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Ho adorato il significato intrinseco di questo libro, l’ho letto qualche tempo fa. Pur apprezzando lo stile, il modus della storia e i grandi personaggi incontrati non posso esimermi da inserirlo in questa mini lista. Madame Bovary è prolisso, prolisso, prolisso in una maniera incredibile e, in alcuni punti, ripetitivo da dar la nausea. Inoltre non dà il meglio di sé nella parte iniziale, è lì che ci mette un po’ ad ingranare e quando lo fa mantiene il ritmo alto per poche pagine per poi riprendere quella sorta di aura di noia che lo avvolge. Capolavoro, sia chiaro. Però cavoli, quant’è noioso.

E voi? Quali sono i libri più noiosi che avete avuto il coraggio di leggere?

5 errori che commetti scrivendo il tuo primo romanzo

Nel precedente articolo avevo parlato di una campagna di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, oggi invece cambiamo argomento e ritorniamo a parlare di scrittura pura.

Quando si scrive un libro è sempre un discorso personale. Mi spiego: potete chiedere consiglio a chi volete e cercare pagine e pagine web per riempirvi la testa di consigli di pseudo esperti che ripetono sempre la stessa cosa cantilenando, ma alla fine quello che dovete fare lo sapere solo voi e idem quello che potete fare. In particolar modo, a mio avviso, conoscere fin dove si può arrivare anche da un punto di vista fisico è essenziale. Quando ho scritto il mio primo romanzo ero ancora uno studente delle superiori e una volta tornato da scuola e dalle lezioni pomeridiane (quindi verso le diciotto), scrivevo fino alle ventuno senza sosta. Nei giorni in cui non andavo a scuola scrivevo dalle dieci del mattino alle diciotto di sera e mi sentivo bene, ma ci sono state volte in cui ho sforato il limite e il giorno successivo non riuscivo nemmeno ad articolare mezza frase 😀

La verità è che va bene conoscere i propri limiti, ma va bene anche tentare di superarli e oggi voglio parlarvi di limiti collettivi: 5 errori che tutti noi facciamo dal momento in cui ci mettiamo in testa di scrivere un libro

 

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Questi siete voi mentre cercate di fare al computer quello che fareste a voi stessi

 

1) AVVERBI

Te lo ripetono praticamente sempre, ma tu non riesci a farne a meno? Benvenuto nel club! Gli avverbi semplificano la fase di scrittura, perché con una sola parola puoi dire ciò che diresti in cinque, ma la verità è che appesantiscono il testo. Provate a farci caso: i testi pieni di avverbi sono pesanti il quintuplo rispetto a testi più leggeri. Scrittori famosissimi  consigliano infatti di usare gli avverbi come se stesse usando nitroglicerina. E hanno pure ragione.

2) I TEMPI

Sbagliano in parecchi: avere fretta non è solo il miglior modo per far sì che il vostro romanzo sia un mare di merda su carta, ma anche l’espediente prediletto da colui che vuole moglie ubriaca e botte piena. Siamo seri: a meno che non vi avvaliate di una squadra di ricercatori, assistenti e ghost writer il vostro romanzo avrà bisogno di una lavorazione che può essere fatta solo da voi. Non esistono libri scritti in una settimana. Non c’è nessuna ricetta miracolosa nell’essere prolifica e non c’è nessuna cazzo di soluzione ai vostri problemi di ispirazione, perché fondamentalmente (vedi sopra, capisci la battuta) è probabile che neppure esista. Avete bisogno di tempo. Questo è tutto ciò che dovreste sapere quando iniziate a scrivere un romanzo, perché dal momento in cui vi sedete con la precisa intenzione di fare il vostro lavoro in metà del tempo, allora vi conviene alzarvi, fare una passeggiata e valutare l’idea di cambiare lavoro. Un consiglio: nessun lavoro per cui vi paghino, ovviamente.

3) LA CARATTERIZZAZIONE DEI PERSONAGGI

Anche qui avete bisogno di tempo. A meno che non siate le nuove stelle della letteratura mondiale, è difficile che alla prima stesura i vostri protagonisti siano proprio come li avevate immaginati. Il protagonista: lo volevate moro, atletico, sarcastico, audace e sciupafemmine e per esigenze di storia ve lo ritrovate biondo, moscio, anonimo, pauroso e incapace con le donne quanto un anziano con una ventenne. Voglio dire, è normale. Quello di cui avete bisogno è rileggervi tutto con calma e ragionare: perché ho trasformato la mia idea iniziale? Posso fare qualcosa per correggere? Posso cambiare parti della trama per adattarle al personaggio? E vale la stessa cosa per i personaggi di contorno: sembreranno quasi tutte macchiette senza personalità, gli uomini saranno tutti coraggiosi e sembreranno parlare allo stesso modo e le donne saranno magari più timorose e sembreranno cloni. L’antagonista sembrerà uno sfigato, la damigella in pericolo una che non ha bisogno di essere salvata, eccetera. Hemingway, del resto, era solito dire che «la prima stesura è merda».

4) TRAMA BLOCCATA

Una trama bloccata è l’incubo di ogni scrittore. Avete programmato una scaletta e siete lì a scrivere da tempo, ormai avete superato la metà del romanzo, eppure qualcosa non vi convince. Tornate indietro, rileggete, riguardate, correggete, aggiustate e alla fine ritornate a scrivere, ma i nuovi dettagli vi fanno perdere il focus della storia, che appare brutta. Come? La vostra storia brutta? Non è possibile! Voi siete grandi scrittori, voi meritereste maree di fan adoranti per le vostre storie, i vostri romanzi non possono essere brutti, è il vostro cervello ad esserlo, il vostro cervello è troppo stanco! Seriamente? Il vostro romanzo è merda. E pure il mio. E quello di chiunque altro. Almeno la prima stesura è così, ve lo ripeto. E quando avete una trama bloccata è un segno positivo, perché vuol dire che effettivamente avete capito di aver fatto qualche castroneria che avrebbe fatto passare la vostra storia da “meh” a “bleah”.

5) I GIUDIZI DEGLI ALTRI

Un errore così semplice che non è nemmeno un errore. “Cosa ne pensi del mio romanzo? Aspetta che ti racconto la trama!”

NO.

NO, porca miseria, voi dovete stare zitti, chiudervi la bocca, serrarvi le mandibole, incollarvi le labbra e scordare di avere diritto di parola, quando state scrivendo il vostro primo romanzo. Voi non avete idea della quantità di cazzate che vi diranno, non per problemi relativi a loro o a voi, ma perché la gente che interrogate a proposito del vostro romanzo possiede due caratteristiche: la prima, non è nel vostro romanzo. Sapete solo voi cosa avete messo in quelle pagine, perché dovrebbero saperlo gli altri? E cosa vi aspettate che vi dicano le persone quando ascoltano un racconto superficiale, smaliziato, magari pure incompleto? Se vi dicono che è bello vi stanno prendendo per il culo, se vi dicono che è brutto sono degli stronzi, però almeno sono sinceri. La seconda caratteristica è che alla gente non importa un fico secco di quello che scrivete. O meglio, importa a una piccola parte. Di certo non è che potete andare dal vicino di casa quello scorbutico e dire: “Ehi, ti va di ascoltare la trama del mio romanzo ambientato nel selvaggio West con protagonisti un fumettista disperato, un cretino che gioca ai videogames tutto il giorno e un cabarettista?” perchè se poi quello vi tira l’innaffiatoio sulla testa ha tutte le ragioni. In sintesi: scrivete da soli, rileggete da soli, giudicatevi da soli con imparzialità. Al limite è concessa UNA PERSONA particolarmente speciale per voi, che può essere disposta a darvi consigli. Altrimenti date retta: state meglio da soli.

E guai a voi, eh.

Matteo

Un racconto per contrastare la violenza sulle donne

Meetale, di recente, ha lanciato un contest particolarmente importante per sensibilizzare a proposito di un tema complicato, cioè la violenza sulle donne. Tra i vari scrittori che hanno provato a dare un contributo alla causa vi è anche il tizio strambo che leggete in questo momento.

Il mio racconto si chiama “Dietro la porta” ed è un assaggio di ciò che probabilmente non si comprende ad una prima occhiata quando si osservano certe realtà. Voglio dire, avevo diverse idee, ma alla fine ho deciso di sviluppare quella che a mio avviso poteva avere più interpretazioni. Se volete consultare il racconto andate a questo link e magari lì o qui

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La descrizione della scheda è:

Due tipi di violenze trattate in un unico racconto.
La prima, frutto di un’educazione sbagliata che potrebbe portare, negli anni, a una degenerazione
La seconda, sempre frutto di un’educazione sbagliata, che sta già portando problemi a un innocente.

La non violenza è educazione, bisognerebbe capirlo

Insomma, spero di fare bene e di sensibilizzare, nel mio piccolo, le persone che leggeranno il mio racconto. Verrà anche realizzato un e-book i cui proventi andranno proprio a rimpolpare la causa. Fiero dunque di avere avuto questa possibilità

Matteo

Smettetela di tenere il muso per Bob Dylan

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Il Nobel per la letteratura è uno di quei premi che personalmente non ho mai preso troppo sul serio e ciò è accaduto per diversi motivi, tra cui il fatto che premi del genere, di solito, non sono altro che l’occasione perfetta per elementi raccomandati di emergere dal nulla nonostante il proprio lavoro non sia proprio eccezionale, magari rubando la scena ad altre persone.

Però, siamo seri, come si può discutere il Nobel a Bob Dylan? C’è una premessa da fare, qui il regolamento è stato seguito alla lettera. Il Nobel si assegna per la profondità dei testi, per la grande influenza che questi testi hanno avuto e per i temi che i suddetti hanno trattato e se andiamo a guardare al dettaglio il Nobel a Dylan è conforme a queste caratteristiche.

Le canzoni di Dylan hanno testi profondi? A meno che non siate ciechi la risposta è positiva.

Le canzoni di Dylan hanno avuto un’influenza? Anche qui la risposta è positiva, basta dare una rapida occhiata in rete e magari (magari, eh) ascoltarne qualcuna.

E ancora, le canzoni di Dylan sono state utilizzate come strumenti per denunciare qualcosa, per offrire una visione delle cose, per uno spunto di riflessione? Ovviamente.

Quindi non capisco davvero cosa ci sia da contestare. Il testo di una canzone non è altro che una poesia con una metrica alternativa. Qualcuno si aspettava uno scrittore quotato, qualcuno un nome di nicchia, alla fine ne è uscito fuori un cantautore popolarissimo che con i propri testi è riuscito a cambiare il mondo.

E credetemi, alcune volte è meglio stare zitti.

L’antieroe nella vostra storia.

Se nel precedente articolo vi ho parlato della mia opinione sulla costruzione dei cattivi, oggi affrontiamo un tema analogo e iniziamo a parlare di un personaggio particolare, un’ombra che troppo spesso viene sottovalutata.

Chi scrive, chi legge o chi anche guarda una delle tante serie televisive di successo che in questi anni si sono impossessate del nostro tempo libero, sa bene che c’è una figura tanto affascinante quanto particolare che con il passare del tempo è diventata sempre più presente nelle storie che ci vengono raccontate. Sto parlando dell’antieroe.  

DEFINIZIONE

L’antieroe è un personaggio che si contrappone all’eroe (che molto spesso è il protagonista della nostra storia) e che non possiede nessuna delle qualità del suddetto. Dunque l’antieroe non è gentile, non è altruista e non sorride quasi mai. Tuttavia non è malvagio ed è proprio quest’ultimo punto che porta all’immedesimazione totale con il pubblico. Per farla breve, ognuno di noi può essere eroe ed antieroe allo stesso tempo, ma se nell’eroe vediamo riflessi tutti i nostri (possibili) pregi, nell’antieroe avviene l’esatto contrario: lì emergono i difetti, i brutti lati del nostro carattere che però non necessariamente ci rendono cattive persone.

La figura dell’antieroe nella letteratura ritrova i primi cenni storici ai tempi di Omero e prosegue, parlando di precursori, nel Don Chisciotte, ma è solo negli ultimi venti o trent’anni che ha trovato il giusto spazio nelle storie in cui compare, arrivando molto spesso a “rubare” la prima scena al protagonista e, in certi casi, ad essere lui stesso la primadonna di un romanzo. L’antieroe è sempre stato presente nei libri, nei film e nei serial televisivi, ma spesso e volentieri, almeno a mio modestissimo parere, non otteneva dal lettore/spettatore l’attenzione che meritava.

ESEMPI DI ANTIEROE

Pensate a Beowulf, protagonista dell’omonimo poema epico scritto da un anonimo amante della letteratura inglese. Beowulf sconfigge demoni, sfida circostanze impossibili e difficilissime, ma è un guerriero spietato, non sembra provare rimorsi ed è sempre accecato da quella lucida aggressività che ha provveduto a contraddistinguerlo.

E Solomon Kane? Intendo il personaggio creato R. E. Howard. Si tratta di uno spadaccino dall’abilità straordinaria, ma ha una serie di caratteristiche (sguardo torvo, scarsa tolleranza dei nemici, morale di ferro) che lo rendono un antieroe perfetto, un uomo dannato infilato in una società per lui difficile da comprendere.

Potrei citare, parlando di tempi più recenti, anche Severus Snape (alias Piton), della saga di Harry Potter. La Rowling costruisce attorno a questo personaggio tutti e sette i libri che compongono la saga del maghetto britannico. Piton è serio, brusco, arrogante, altezzoso e inizialmente viene presentato come tale, ma man mano che la storia si evolve si comprendono altri lati della sua personalità e si comincia a provare affetto per un uomo che dalla vita ha ottenuto molto spesso più spine che rose.

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Piton

Anche lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle è un antieroe: Holmes è misogino (c’è una eccezione per la signorina Adler…) convive con delle dipendenze, ha un rapporto particolare con il genere umano e in alcuni momenti è intrattabile.

Anche il cinema o la televisione ci ha abituato a perfette forme di antieroe? Quali? Ricordate Tony Montana, il protagonista del film Scarface interpretato da Al Pacino? Ecco, quella è una delle forme più alte nella costruzione di un antieroe: Montana è violento, attaccabrighe, provocatore, eppure conquista il consenso delle platee.

Tony Montana
Tony Montana

E Travis Bickle dove lo mettiamo? De Niro lo interpreta in Taxi Driver e il compito è tutt’altro che semplice: Bickle è un sociopatico e alienato tassista con delle ideologie ben radicate e una voglia di cambiare il mondo a suon di colpi di pistola. Impossibile non citare Gregory House, protagonista di House M.D. Ispirato in parte a Holmes, House è un dottore burbero e arrogante dipendente da farmaci. Non sono caratteristiche che renderebbero amabile un personaggio, eppure il protagonista interpretato da Hugh Laurie è stato fin subito apprezzatissimo da tutti.

In ambito televisivo è anche doveroso citare James Ford, alias Sawyer, di Lost.

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Sawyer (Lost), uno degli antieroi moderni più riusciti di sempre.

Il personaggio interpretato da Josh Holloway è pungente, sarcastico e rissaiolo, ma nonostante ciò riesce ad incontrare i favori dello spettatore, grazie anche alla storia personale che Lindelof e soci sono riusciti a cucirgli addosso tramite un sapiente uso di flashback.

Antieroe e protagonista, se non si fosse capito, possono anche coincidere. E la cosa è indubbiamente affascinante. Creare un antieroe, però, non è semplice e spesso si finisce con il sobbarcare il nostro personaggio con una serie di difetti di cui non viene spiegata la causa, provocando così confusione nel lettore-spettatore quando il nostro personaggio compie una determinata azione. Per far sì che un antieroe sia tale, bisogna quindi farlo crescere, adeguare i suoi atteggiamenti alle circostanze che vive in prima persona. Mostrate i difetti, fate sì che la gente arrivi a guardarlo storto, ma gradualmente svelate le sue reali intenzioni, la sua storia personale. Dategli motivazioni serie, un contorno sfavorevole e pensieri (se non moralmente accettabili) almeno legittimi.

Mat.

Come creare cattivi per le vostre storie.

L’ultima volta mi sono sfogato un po’ 😀 parlando della visione che l’Italia ha dello scrittore. Oggi ritorniamo a parlare di making of a story e vi spavento un po’ 😀

Se c’è una cosa difficile nella stesura di una storia, quella è la costruzione del cattivo. Cercherò di essere molto breve e svilupperò quattro punti che ho trovato interessanti da scrivere.

Pensateci, cosa c’è di meglio di un bel cattivo per il vostro lavoro? Tutti i più grandi capolavori del passato e odierni possiedono un’antagonista all’altezza del protagonista. Pensate a Il ritratto di Dorian Gray. Lì il protagonista è il bel Dorian e il cattivo di turno risponde al nome di Lord Wotton, incarnazione del male assoluto, lussurioso, vorace di sensi. Il cattivo di una storia dà sapore alla storia stessa e a mio avviso assume lo stesso valore di una spezia all’interno di un piatto prelibato.

Dunque è importante dare la giusta importanza alla costruzione del nostro antagonista. Ma come fare? Focalizzandosi su alcuni aspetti fondamentali. Ecco quelli che mi sono venuti in mente

REALISMO

Il cattivo deve essere credibile e deve muoversi realisticamente nello spazio che gli avete creato attorno. Questo significa evitare stereotipi vecchi quanto il mondo: il killer di un thriller non deve essere per forza trasandato e storpio e l’avversario del protagonista di un romanzo di fantascienza non necessariamente deve apparire come un alieno super potente dall’intelligenza superiore. Siate creativi, siate spericolati.

Voldemort (saga di Harry Potter by JK Rowling) è uno dei cattivi più credibili e originali degli ultimi anni.
Voldemort (saga di Harry Potter by JK Rowling) è uno dei cattivi più credibili e originali degli ultimi anni.

Il cattivo deve essere realistico, anche il nostro vicino di casa potrebbe essere uno spunto interessante. E poi, per favore, fatelo agire: costruitegli attorno azioni che ne esaltino la personalità, ma che al contempo non siano piazzate lì a caso. Se volete esaltare la personalità di un boss mafioso, allora dovete trovare un modo per farlo apparire viscido, potente e spietato agli occhi del lettore. Occhio però a non strafare: un cattivo non è sempre incazzato con il mondo, non se ne va a giustiziare persone in strada, quindi non create un antagonista che se ne va in giro con un fucile in mano pronto a sparare chiunque gli si pari davanti.

CARATTERISTICHE

Il cattivo non è una persona con lati del carattere solo negativi. Okay, è un cattivo, è spietato e vuole far polpette del nostro protagonista. Ma mica è solo malvagio… sembra una frase fatta, ma le persone sono fatte di luci e ombre e il cattivo di una storia, se vuole essere realistico, deve essere esattamente così. Pensateci su: potrebbe essere un sadico, o magari un tizio al quale piace fare giochi psicologici, ma magari appare agli occhi della gente come un professore di scuola media.

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Hannibal Lecter è senza dubbio uno dei cattivi più popolari e convincenti di sempre.

O magari potrebbe avere un debole per le donne, o una semplice perversione sessuale, ma essere, nella vita di tutti i giorni, un sacerdote apprezzato e amato da tutti. Il succo della questione è: MAI dotare il cattivo di sola malvagità. Non dovete certo fargli commettere buone azioni (tipo innaffiare i fiori della vicina, per dire…) ma farlo agire e comportarsi a seconda delle situazioni e del proprio status.

 MOTIVAZIONI

Perché diamine ‘sto tizio ce l’ha col protagonista? Gli ha fregato la tipa? Erano amici e lo ha tradito in qualche modo? L’eroe possiede qualcosa che gli interessa? La rivalità tra i due ha uno scopo idealistico derivante da una causa esterna? Le motivazioni contano molto.

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Il Conte Dracula impegnato in una…cena.

Le persone cambiano molto più spesso di quanto si pensi, ma lo fanno grazie a degli eventi che scatenano reazioni. Un personaggio è malvagio perché evidentemente ha un obbiettivo amorale da raggiungere, perché vuole perseguire uno scopo reale e tangibile che andrebbe contro certi principi.

 ASPETTO FISICO E CARATTERE

Basta con i cliché, l’ho accennato anche prima. Il mafioso non ha sempre le guance a mo’ di bulldog e il pirata non ha sempre una benda a coprirgli uno degli occhi. La perversione sessuale non è sempre simboleggiata da un tizio distinto in giacca e cravatta e un pugile cattivo non ha sempre un’etnia diversa da quella del protagonista e non è sempre angosciato o arrabbiato con tutti.

James Moriarty, la nemesi di Sherlock Holmes, nella rappresentazione BBC
James Moriarty, la nemesi di Sherlock Holmes, nella rappresentazione BBC dedicata al detective di Baker Street.

NO, NO E NO. Potete descrivere il vostro protagonista come e quanto volete (occhio a non esagerare con le descrizioni, prossimamente ne parliamo), ma cercate di evitare ciò che è stato ripetuto molteplici volte. Non abbiate paura di rischiare, spesso ciò che è nuovo risuona nelle pagine in maniera impeccabile.

Mat

@MatteoIacobucci

Lo scrittore in Italia

sc La scorsa volta abbiamo parlato delle differenze principali tra un giallo e un thriller. Oggi voglio sfogarmi un po’ con voi e sottoporvi qualche mio pensiero. Ci tengo a precisare che il presente articolo non vuole essere una polemica, ma solo una constatazione. Chi vogliamo prendere in giro? Siamo poveri disgraziati. Noi. Noi scrittori, o presunti/aspiranti tali. Almeno lo siamo qui, nel nostro paese, in Italia. Date un’occhiata alle personalità più influenti o semplicemente più apprezzate della nostra penisola. Ci sono cantanti, attori, politici…ma lo scrittore è lasciato indietro. Senza un’apparente ragione. Questo post non vuole essere una denuncia, a dire il vero non vuole essere niente di più che un post di un blog, uno dei tanti. Ma è un post che propone una versione della verità che a mio avviso è sotto gli occhi di tutti: la figura dello scrittore è sottovalutata, soprattutto se si prende in esame l’Italia. Perché? Perché non urliamo su un palco come degli ossessi, non promettiamo cazzate a destra e a manca chiedendo voti e assicurando pianeti come ringraziamento e non recitiamo in una delle fiction Mediaset o Rai (per fortuna). Nessuno però si chiede da dove provengano i film che appassionano il mondo, da dove vengano alcuni dei più grandi capolavori della storia del cinema o della televisione (guardate Lost, per favore). La maggior parte delle persone sembra addormentata, bloccata nel capire che ciò che vede sullo schermo necessita di una creazione mentale, di un anno zero; ecco: lo scrittore crea tutto da lì, da zero.  Lo sceneggiatore, idem, anche se in maniera diversa, ma questo è un argomento che svilupperò meglio in un post futuro.

PERCHÉ LO SCRITTORE NON È UN PERSONAGGIO DI RILIEVO.

Perché la maggior parte delle persone crede di saper scrivere un libro con molta facilità. No, mi correggo, la maggior parte della gente è CONVINTA di poter scrivere un libro senza difficoltà. Ho sentito con le mie orecchie dialoghi insensati di persone che sostenevano che scrivere un libro è un’impresa facile, che scrivere è come respirare, che essere scrittori è una perdita di tempo. Spero in una confezione formato famiglia di Durex, perché vorrei che non vi riproduceste. Scrivere è un lavoro duro, richiede talento, costanza, personalità, immedesimazione, intelligenza, acume, sensibilità e devozione alla causa; di certo non è qualcosa che scaturisce dal nulla o che proviene da una convinzione insita dentro di noi. Si diventa scrittori quando si prova a diventare scrittori e ciò vuol dire che tentare è il primo passo verso una scalata ripida e pericolosa che potrebbe romperci le ossa in qualsiasi momento. Ma tutto ciò non viene apprezzato dalle masse. La maggior parte della gente crede che lo scrittore sia un tizio occhialuto che se ne sta in casa tutto il giorno, scrive il primo pensiero che gli passa per la testa, sorride alla vita tranquillamente e guadagna soldoni che provengono dalle ristampe dei suoi primi libri. Secondo certa gente allo scrittore riesce tutto facile, tutto naturale. Non hanno idea degli ostacoli che si incontrano scrivendo un libro o un semplice racconto, non ne sanno nulla di grammatica, di sintassi e inclinano la testa di un lato se parli loro di cose come “caratterizzazione dei personaggi” e “scrittura creativa”. Sono anche poco informati sugli aspetti narrativi del mestiere, ma continuano a parlare a ruota libera. Ma io dico, ma il silenzio vi fa così schifo?

NEGLI ALTRI PAESI

Non voglio essere qualunquista, ma devo constatare che c’è una differenza abissale tra l’Italia e, per esempio, gli Stati Uniti. Innanzitutto la considerazione della gente parte dalla possibilità che viene data a chi ha qualcosa da dire e possiede gli strumenti giusti per farlo. Farsi pubblicare in Italia è quasi impossibile e la strada per la pubblicazione ufficiale passa molto spesso per funivie secondarie; negli Stati Uniti: sei uno scrittore? Hai talento? Il tuo libro è interessante? Avrai una chance. Avrai successo? Fallirai? Si vedrà, ma intanto la possibilità appare concreta, viva. Non che sia più facile avere successo all’estero, sia chiaro, ma c’è un passo in cui sono avanti a noi e quel passo è la predisposizione. Lo scrittore viene accolto per quello che è: un professionista alla pari del cantante e dell’attore. Ciò non vuol dire che tutti in Italia sono così e che invece negli USA ti abbracciano non appena vengono a conoscenza della tua passione per la scrittura, solo che magari lì non sei giudicato anormale. topolino-scrittore Se in Italia dici che ti piace scrivere nel tempo libero e che aspiri a diventare scrittore le persone ti guardano come se tu avessi appena suggerito loro di partire per le Hawaii in bicicletta. Dico, è una professione così stramba? Uno che scrive racconti e storie è da considerarsi per forza un emarginato e un idiota, o è chi magari pur non conoscendo niente sull’argomento sputa sentenze ogni singolo giorno? Voglio dire, in fondo lo scrittore è un cretino, dico bene? Meglio il tronista di Uomini e Donne!

IL CREATORE DI MONDI

Eppure basterebbe ragionare un attimo. Senza scrittura non ci sarebbe NIENTE. Script-Fight-Club Niente di niente. Non ci sarebbero libri, non esisterebbero film, non ci sarebbero serie tv, non si parlerebbe di cultura, non esisterebbero i fumetti, né i manga, né altre forme di intrattenimento che la massa ama e adora ogni singolo giorno. Ogni volta che si racconta una fiaba ad un bambino è perché qualcuno si è spremuto le meningi per scriverla. Ogni qualvolta guardate un film è perché lo sceneggiatore ha scritto dialoghi e ambientazioni rimanendo chiuso in una stanza per mesi. Se leggete un libro avete tra le mani il lavoro di anni di un povero disgraziato che per lanciare un messaggio, far conoscere la propria storia e raccontare delle vicende che gli stanno a cuore si è prostrato alla fatica, al sacrificio e alla professionalità, dunque non è molto carino che voi siate convinti che scrivere sia roba per mocciosi. Lo scrittore in Italia non godrà mai della piena considerazione che merita, perché il popolo tricolore è abituato a pensare che scrivere sia semplice, che per scrivere basti sapere in che ordine disporre le lettere e formare frasi di senso compiuto. La maggior parte delle persone che parlano male della figura dello scrittore è un agglomerato di tizi senza alcuna nozione base. Troppa fatica informarsi prima di esprimere un’opinione. Se lo si facesse, in fondo, non saremmo in Italia. Quasi quasi cambio paese. E chiedo pure i danni. Di qualsiasi tipo. Mat. Twitter: @MatteoIacobucci

Le principali differenze tra un giallo e un thriller.

Ricordate lo scorso articolo legato agli argomenti del blog? Vi avevo chiesto se leggevate i classici :). Oggi si volta pagina.

Sarò anche rompiscatole, ma tengo molto alla separazione dei generi. Molte persone fanno confusione tra romanzo rosa e drammatico, o tra fantasy e fantascienza, o tra giallo e thriller. In questo articolo cercherò di scandagliare in maniera più o meno sintetica le differenze tra questi ultimi due, che molto spesso sono accorpati in maniera ingiusta. Ecco le differenze peculiari tra un libro giallo e un thriller.

Piccola premessa: il giallo a cui mi riferisco è essenzialmente deduttivo, il classico whodunit, per intenderci.

Okay, detto questo, possiamo partire:

TRAMA

La trama del giallo deduttivo è spesso molto più statica di quella di un thriller, ma dipende anche dallo scrittore che si appresta a raccontarvi la storia. I grandi classici del giallo, quelli di Conan Doyle e di Agatha Christie, non annoiano mai perché sono per l’appunto classici, quindi romanzi eterni. Gli autori in questione sono innovatori di stile e, per certi versi, di genere. La trama del giallo deduttivo si snoda tutto attorno ad un caso (molto spesso di omicidio, ma ci sono libri che trattano di altro) molto complesso da un punto di vista intellettivo. Il giallo deduttivo è il classico tipo di giallo, quello con un investigatore, un colpevole, un cadavere e una serie di indizi disseminati lungo le pagine al scopo di invogliare il lettore a formulare una sua idea in linea con quanto letto. L’obbiettivo è risolvere l’enigma e dunque smascherare il colpevole.

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Illustrazione di Holmes mentre suona il violino. L’attore nella foto è Benedict Cumberbacht, interprete del detective di Baker Street nella serie BBC Sherlock

In un thriller è tutto diverso: la trama può riguardare molteplici aspetti (anche a causa del miscuglio dei sottogeneri), dall’omicidio di una persona al rapimento di un bambino, da un traffico illegale di droga alla storia di un serial killer che commette efferati delitti, dalla volontà di fermare una potente arma batteriologica e così via. Si parla dunque, generalizzando, di crime story. Generalmente la narrazione è più veloce, ma il libro è anche meno incentrato sull’enigma, arrivando a focalizzarsi sugli aspetti psicologici dei protagonisti e abbracciando, a volte, enormi morali. In un thriller ci si focalizza sul colpo di scena, sull’azione, sulle situazioni movimentate, sulle problematiche personali del personaggio e si dà più importanza alle sottotrame, cioè le trame secondarie che riguardano i tanti protagonisti coinvolti.

PERSONAGGI

L’unico personaggio che, nel giallo classico, viene approfondito e affrontato nel giallo a trecentosessanta gradi è il protagonista, il nostro bel detective. I personaggi di contorno, e anche quelli secondari, sono dipinti a schizzi, in maniera veloce e impeccabile. Ciò vuol dire che non è necessario che conosciate tutto il passato di un sospettato, né tutto quello dell’assistente del detective, mentre vi verranno dati molti più dettagli proprio su quest’ultimo. Chi è, cos’ha fatto, come ragiona, dove ha acquisito il proprio metodo investigativo.

michael connelly
Michael Connelly, autore della serie di Harry Bosch.

Nel thriller, siccome la storia è più estesa e in certi casi pullula di una moltitudine di elementi diversi tra loro, si tende a cercare di raccontare uno stralcio di storia personale di ognuno dei protagonisti. Sono più frequenti elementi narrativi come il flashback e ai dialoghi incentrati sulla psicologia dei personaggi viene attribuita un’importanza incredibile. Il personaggio di un thriller si rifà molto spesso a chi incontrate per strada ogni giorno: alla portinaia, all’insegnante di storia, al meccanico, all’imbianchino; si cerca di dare maggior realismo alla storia attraverso una caratterizzazione del personaggio incentrata sullo studio dei gesti e delle movenze, del linguaggio e delle azioni. Provate a leggere un thriller hard boiled e vedrete in che modo vi verranno presentati i personaggi: spesso sono uomini stanchi, logorati dalla vita e dal lavoro, con più difetti che pregi. Guardate la caratterizzazione minuziosa che autori come Dennis Lehane e Michael Connelly riescono a costruire sui propri personaggi. Vi accorgerete dello studio complesso e quasi estenuante riservato per ogni singola comparsa.

INDAGINE

Nel giallo deduttivo l’indagine è meticolosa, precisa, distinta e oculata. Si cerca di fornire al lettore (o almeno si dovrebbe fare così…) tutti gli indizi necessari per risolvere il caso. Il giallo deduttivo è una sfida al lettore, un guanto bianco provocatorio lanciato dallo scrittore nella vostra direzione. Il detective del giallo è di solito intellettualmente più brillante rispetto a quello del thriller, è molte volte più attento ai dettagli e a variabili come il linguaggio del corpo e i ragionamenti derivanti dall’osservazione. Guardate Sherlock Holmes: la sua Scienza della deduzione (scienza basata sull’osservazione e sulla formulazione di un’ipotesi veritiera basata sugli elementi a disposizione) è leggendaria; Guardate Poirot: le sue celluline grigie sono sempre in prima linea. Loro studiano le persone con cui hanno a che fare, le comprendono e in secondo luogo né svelano le reali intenzioni.

poirot
David Suchet, il più famoso interprete televisivo di Poirot.

Nel thriller l’indagine è più movimentata, veloce, rapida. Può estendersi per seicento pagine (leggete uno degli ultimi libri di Nesbo, per credere…), ma l’autore cercherà sempre di renderla meno incentrata sul ragionamento mentale e più vivace, più protratta all’azione. Ci può essere il dettaglio, possiamo trovare lo studio del crimine, ma sarà sempre di meno rispetto a ciò che troverete in un giallo. In compenso, in un thriller è facile avere più azione, molte più situazioni dinamiche e ad alta tensione capaci di lasciarvi incollati alla pagina. Queste cose, nel giallo deduttivo, sono rese dalla grande abilità del detective e dal modus operandi dell’assassino, che deve sempre sorprendere o indignare il lettore.

FINALE

Nel giallo deduttivo molto spesso il detective vince, il colpevole va in gattabuia e tanti saluti. C’è il recap del caso, la confessione, altre spiegazioni, una scena finale e si chiude.

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Buio prendimi per mano, libro del 1996 di Dennis Lehane. Fa parte della (purtroppo breve) serie di Patrick Kenzie e Angela Gennaro. In assoluto il thriller più bello che abbia mai letto. Nonostante il genere possa suggerire il contrario, all’interno del libro si estende una prosa delicata e profonda.

Nel thriller è un pochino più complesso: la fine non è sempre lieta, anzi, a volte non lo è affatto (Buio prendimi per manoPioggia Nera di Dennis Lehane ne sono un esempio palese, ma anche Gone baby Gone, dello stesso autore, per non parlare di Shutter Island e Mystic River). A volte nel thriller la prospettiva si rovescia. Il buono diventa cattivo, il cattivo diventa buono e tutto ciò che avete letto nelle precedenti seicento pagine va a farsi friggere. Ma non è una cosa sbagliata, anzi. A mio avviso uno thrillerista deve riuscire a capovolgere la prospettiva, quando è necessario. La fine potrebbe coincidere con una scena forte o sanguinaria, o si potrebbe avere uno scontro fisico nel quale uno dei due personaggi coinvolti potrebbe rimanere ferito gravemente o addirittura perdere la vita.

QUELLO CHE PENSO

È che sono un fan assoluto di entrambi i generi e mi diletto a scrivere entrambi. Ho letto praticamente tutto di Conan Doyle e Agatha Christie, ho letto tutto di Dennis Lehane, qualcosa di Nesbo e Connelly, e girovagato nelle opere dei giallisti e thrilleristi più vari, dagli italiani ai nordici, dagli statunitensi agli inglesi.

Impossibile dire quale genere io apprezzi di più. Del giallo deduttivo mi affascina il processo di deduzione, l’indagine scientifica per arrivare alla verità; del thriller puro apprezzo la capacità della prospettiva di ribaltarsi, la maggior cura riservata all’aspetto psicologico dei personaggi.

Ed è per questo, forse, che nella mia saga gialla ho mixato gli elementi 😀

Mat.

Ladies and Gentlemen, The Liebster Award!

liebster_award

Non conoscevo molto bene i Liebster Award, ma dopo che il fantastico blog Crazyinkdrops mi ha nominato, sono stato subito conquistato dal progetto. Dunque grazie mille per la nomination 😉

Per chi, come me, ignorava le regole dei Liebster, eccole qui:

  1. Ringraziare il blog che ti ha nominato
  2. Rispondere alle 10 domande dei Liebster
  3. Nominare altri 10 blog con meno di 200 followers (e qui forse farò un casino, perché sono nuovo di zecca e non ho avuto ancora tempo di conoscere molti blogger, quindi scusatemi se ne nominerò meno).
  4. Comunicare la nomina ai blog nominati 🙂

Bene, senza ulteriori indugi passiamo alle risposte!

Perché hai aperto un blog?

Credo che la mia decisione sia stata dettata dalla voglia di parlare delle mie passioni con un ampio raggio di persone. Può capitare, a volte, di avere delle storie e degli argomenti di conversazione che non risultano interessanti a coloro con cui ti relazioni ogni giorno, dunque devi trovare una soluzione alternativa. Per me la soluzione è stata aprire uno spazio tutto mio dove condividere esperienze, idee, passioni e altro a proposito dell’arte raccontata, dunque adoro relazionarmi con il prossimo e discutere di libri, storie, sceneggiature, scrittura creativa e tutto ciò che ha a che fare con la creazione di una storia.

Ci parli un po’ delle tue passioni?

Oltre a quella della scrittura, ovviamente adoro leggere, in particolare gialli classici (Conan Doyle, Agatha Christie) e thriller (Dennis Lehane, Michael Connelly, Jo Nesbo). Passo molto tempo a scrivere storie, ogni giorno almeno un paio d’ore, perché sono convinto che sia il miglior modo possibile per liberare cuore e testa da pesantezze e impulsi. Ciò che scrivo su carta è, essenzialmente, tutto vero, solo che è ficcato (si può dire? 😀 ) in un contesto differente, adattato alle esigenze della storia. Adoro lo sport e in particolare il calcio: sono tifoso della Juve e di Alessandro Del Piero (unico Capitano! 🙂 ); ascolto tanta tanta tanta tanta (forse l’ho scritto troppe volte…) musica, di ogni genere, dal rock al punk, dalla leggera alle soundtrack, eccetera. Le mie band preferite: U2, Queen, Oasis (ora sciolti), Coldplay (praticamente sciolti), Breaking Benjamin e altre. Mi piace il cinema e sono appassionato di serie tv americane: la mia preferita è senza dubbio Lost, però ne seguo molte altre come Sherlock, Elementary, The Big Bang Theory (che è la mia sitcom preferita) e via dicendo. Bene, taglio corto sennò divento prolisso 🙂

Quanto pensi che i commenti e le interazioni siano utili per un blogger e in che modo?

Penso che tutto ciò che costituisca un’interazione sia, per un blogger, oro che cola. Avere un blog vuol dire aprire una parte della propria anima al pubblico, condividere pensieri e passioni e sottoporle al giudizio altrui, anche se va detto che nessuno può giudicare altre persone, indipendentemente da gusti di ogni tipo e similari. Però è proprio quella voglia di parlare, di comunicare e di confrontarsi che dà vita alla magia. Ecco, per me un blogger deve ricercare queste cose.

Di cosa parli nel blog?

Principalmente è un blog che parla di scrittura creativa, cioè di procedimenti, metodi e trucchi per scrivere una storia, per scrivere libri o racconti. All’interno del blog sono presenti articoli che ricalcano alcune mie personali esperienze, altri che parlano della scrittura da un punto di vista tecnico, ma sempre molto soggettivo, e altri ancora che – ma questi li vedremo in futuro – propongono un abbraccio trasversale dal libro al piccolo/grande schermo. Per dire, non mi fermo a parlare di storie scritte sulle pagine, se un giorno vorrò, che ne so, prendere ad esempio una serie come Lost e parlare di ciò che uno scrittore potrebbe carpire, lo farò tranquillamente. Questo per dire che c’è una linea comune che è la voglia di parlare del making of di una o più storie, ma che al contempo si tratta di una linea flessibile. E poi cerco di essere sempre leggero e ironico, perché i mattoni non mi piacciono 🙂

Hai creato un rapporto di amicizia con altri blogger? Vi siete mai conosciuti personalmente?
Sono nuovo, dunque non ho avuto modo di stringere amicizia con nessuno, ma di certo ci sono blogger con cui ho scambiato qualche parola in più. Credo che per queste cose ci voglia tempo.

Come immagini il tuo blog tra due anni? Vorresti vederlo crescere/cambiare e in che modo?

Me lo immagino ancora vivo, comunque (almeno spero! :D). Non ho idea di dove sarà il blog tra due anni, ma spero che riesca sempre a essere sempre una fonte di svago e ricerca per chi lo legge. Vorrei che crescesse, ovviamente, ma non so dirti in che modo: immagino che proporre contenuti di qualità potrebbe essere la scelta giusta. Per i cambiamenti solo il tempo darà una risposta.

La cosa che sai fare meglio?

Ti dico quella che non so fare proprio: dire cosa so fare meglio 😉 Scherzi a parte, la risposta a questa domanda la daranno altri.

Quanto tempo dedichi al tuo blog?

Non ho mai calcolato davvero il tempo impiegato per progettare, scrivere e revisionare un articolo, ma è anche possibile che su un pezzo possa passarci una settimana intera perché non mi convince per nulla.

Come nascono i tuoi post?

Penso a ciò che vorrei leggere io e lo scrivo. Semplicemente questo. Un blogger, così come uno scrittore, un musicista, un attore o un calciatore, deve prima provare lui stesso piacere da ciò che fa e poi provare a trasmetterlo agli altri. Quindi, quando sono in auto o seduto alla mia scrivania, in doccia, sdraiato o a tavola, ecco che arriva l’idea: “sarebbe bello se…” e parte l’iniziativa per scrivere appunti. C’è un piccolo lavoro di ricerca, poi l’analisi delle mie sensazioni personali, la prima bozza che lascio lì, nel pc, per almeno una settimana e poi c’è la revisione, che spesso sostituisce il 90% della bozza originaria. Poi pubblico 🙂

Nomination: 

Daniele Conventi Edizioni

JoJovertherainbow

I-Mє & Mуѕєℓf♥

Magla, l’isola del libro

Cioccolatoelibri

Briciolanellatte

Walk on the Artside

Realistica Weblog

Disegnaredaadulti

I Recensivori

Noi ci vediamo prossimamente con un nuovo articolo 😉

Mat.