Adriano Celentano non è mai stato un uomo semplice da amare: anticonformista, guerriero contro il consumismo sfrenato, portatore di valori quasi epici che negli anni addietro lo hanno classificato come una rock star per niente in linea con i colleghi, molto spesso più un tipo da monologo che da canzoni urlate negli stadi. Tuttavia anche il fan più sfrenato dell’icona musicale italiana non può esimersi dal giudicare Adrian, serie animata destinata a un pubblico adulto in onda su Canale 5 in prima serata, uno dei prodotti più pacchiani, peggio riusciti e meno interessanti collegati alla filosofia lavorativa del Molleggiato.
Nove anni di lavorazione, animatori da tutto il mondo, colonna sonora curata da un premio Oscar (e che premio Oscar, il nostrano Nicola Piovani, che vinse l’Award per le stupende e fiabesche musiche de “La vita è bella”) e disegni di Manara, una leggenda nel suo settore, Adrian è stato presentato come un prodotto destinato a vincere e convincere, appassionare e rilanciare un settore, quello dell’animazione, nel nostro paese in discesa libera.
Quando però ci si siede in poltrona e si accavallano le gambe per gustarsi lo spettacolo, ciò che ne esce è il giudizio severo di uno spettatore ampiamente deluso, sconfortato, infastidito dal complesso e prestante ego dell’ Adriano Nazionale, che a 81 anni suonati fornisce al pubblico una trasfigurazione di sé stesso di circa trent’anni, pettorali che nemmeno Triple H dei tempi d’oro, mono espressività animata e una serie di cliché da far inorridire il peggiore degli sceneggiatori. In Adrian il protagonista è un orologiaio nemico del regime, che seppur ricercato dai “poteri forti” si permette il lusso di salire sul palco di un affollato concerto di Capodanno (che ci fosse l’alter ego truzzo di Sangiorgi dei Negramaro è un altro discorso…) e cantare una versione più rockettara di “I want to know”.
Tuttavia non è l’unica incongruenza: i dialoghi sono orribili, innaturali, spesso decontestualizzati, i personaggi piatti che sembrano volersi rifare ai film di spionaggio degli anni ’70, ma riescono nell’intento solo di apparire ridicoli quanto molti di loro. Per quanto i disegni dei character principali siano buoni (tranne il volto di Adrian in una delle scene stilizzate e infatti internet ha pensato bene di farlo diventare un meme…) gli sfondi in alcuni casi sembrano presi e improvvisati con la versione Paint installata in Windows. Ma non è il lato tecnico che viene biasimato nella serie animata, bensì quello narrativo: impressionante come la trama sia stereotipata, scopiazzata da opere ben più prestigiose e gettata lì in mezzo al marasma di persone adoranti del Molleggiato con solo una cosa originale: il volto di un uomo conosciuto e amato dai più, ma che dopo una carriera di successi e iconicità non aveva certo bisogno di mettersi a capo di un progetto del genere scritto male, portato in scena peggio e orchestrato – mi perdonerete – di merda. Morale a go go come se nessuno di noi sapesse di cosa stiano parlando e presunzione nell’elevarsi a paladino della giustizia: soliti temi – importanti per carità – di un certo peso portati avanti con un triciclo e nessuna novità.
Se qualsiasi giovane sceneggiatore avesse proposto alla Mediaset un prodotto del genere con un volto diverso da quello di Celentano il copione sarebbe stata preso e masticato dalle fauci dei direttori dei piani alti, ma ovviamente non si può dire no a una star, anche se presenta un composto narrativo incollato con lo sputo, ricco di enormi baggianate (Mafia International, sul serio?) e altamente non originale. L’ennesima occasione persa per valorizzare l’animazione in Italia, paese in cui questa branca del cinema viene vista come una sorta di sotto categoria di serie B, qualcosa destinato agli infanti, a un pubblico intellettualmente inferiore, che non ha pensieri.
Adrian è insomma un prodotto scadente, di gran lunga non originale e con enormi problemi narrativi (e meno male che hanno chiamato pure quelli della Scuola Holden, complimenti agli studenti scelti) creati perlopiù dallo smisurato ego del suo creatore/protagonista/showstealer e chi più ne ha più ne metta: qualcosa che verrà ripescato in futuro solo per far comprendere quanto in basso qualitativamente un artista possa cadere quando non comprende che non è il momento per giocare con un’arte che è stata fin troppo bistrattata da chi, di animazione, non ne sa nulla